ROMA – All’età di 88 anni, dopo una lunga malattia, è morto Vittorio Taviani, uno dei noti “fratelli” del cinema italiano. Con lui se ne va un pezzo di storia del cinema italiano, capace di interpretare l’Italia letteraria, politica e socialle, nel suo evolversi dagli anni ’60 a oggi.
Box La sensibilità sociale di Taviani emerge fin dall’esordio, con “Un uomo da bruciare”, la storia di un bracciante siciliano ucciso dai fascisti. Si conferma con “Padre e padrone” (1977), tra analfabetismo, scuola e riscatto. Continua con la Resistenza e la Liberazione, raccontate ne “La notte di San Lorenzo” (1982) e chiude la parabola con “Cesare deve morire” (2012), il docufilm girato dai fratelli Taviani all’interno del carcere di Rebibbia, insieme a un gruppo di detenuti, vincitore dell’Orso di Berlino. “Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire – aveva detto durante la cerimonia di premiazione Vittorio Taviani - pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare". Paolo ha voluto rendere omaggio ai reclusi che, ognuno nel proprio dialetto, hanno interpretato il testo del Bardo: "Voglio fare alcuni dei loro nomi: a loro infatti va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci sono nella solitudine delle loro celle. E quindi dico grazie a Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Francesco e Fabi”. (cl)